L'editoriale del vecchio penalista

Editoriale del vecchio penalista.

Esegesi breve sul disegno di legge governativo in materia di prescrizione e sul decreto legislativi 31/12/2012 n° 235 (c.d. Legge Severino)
 
La Giustizia è un servizio che lo Stato rende ai cittadini similmente alla sanità e alla difesa.
E’ dunque con gli occhi dei cittadini e non di lobby professionali che su questo servizio si possono e si debbono esprimere giudizi.
E questi giudizi non possono essere che tristemente severi poiché colgono nel funzionamento della Giustizia un comune denominatore: destinatari non sono i cittadini ma sudditi e ciò in spregio ad un altissimo disegno costituzionale.
A sostenere l’assunto gli esempi si sprecano; vale menzionarne solo alcuni:
- in violazione a quanto disposto dall’art. 20 D.M. 334/89 i cittadini (parti private, testimoni, difensori) vengono tutti convocati alla stessa ora (circa le nove del mattino) ove attendono anche ore che il processo che li riguarda venga chiamato.
- Vi sono processi complessi ove il Pubblico Ministero è impegnato per mesi e talora per anni e in cui l’indagine si conclude con migliaia di pagine di atti; ebbene, data comunicazione ex art. 415 bis C.P.P., il cittadino ha venti giorni per sviluppare le proprie difese.
- I termini processuali sono normalmente perentori e decadenziali per le parti private e meramente ordinatori per PM e Giudici.
Dunque, lo Stato dei sudditi.
Ed è in questo contesto che si colloca il dibattito sulla prescrizione.
E’ opportuno ricordare che la prescrizione è l’istituto in virtù del quale il decorso del tempo estingue il reato.
La materia è regolata dagli artt. 157 e segg. C.P. evidenziato che negli ultimi anni i termini, già molto ampi, sono stati ulteriormente dilatati (vedasi L. 5/12/2005 n° 251).
Attualmente vi sono reati (art. 589 cpv C.P. e 216 L.F.) per i quali i termini di prescrizione arrivano a 15 anni e ciò con buona pace dell’art. 111 Costituzione.
Un osservatore immune da pregiudizi ideologici non può che trarre questa constatazione:
- un Cittadino indagato / imputato deve attendere ben 15 anni per vedere accertata la propria innocenza e, se colpevole, dovrà espiare una pena che riguarda una persona diversa (il volgere del tempo cambia in meglio o in peggio l’essere umano).
- D’altra parte, la parte offesa dal reato deve attendere un’eternità per vedere accolte le proprie legittime pretese.
Se è vero che uno Stato è democratico “se garantisce il possesso dei diritti” (Stuart Mill) pare difficile attribuirne il connotato allo Stato Italiano.
Ed anzi, proprio in questi giorni, in uno scambio d’amorosi sensi, governo e parlamento danno impulso legislativo ad un’ulteriore dilatazione della prescrizione.
In buona e definitiva sostanza a fronte d’un fenomeno di denegata giustizia invece di porre rimedio si aggrava il quadro complessivo!!!
La diagnosi è estremamente semplice: atteso il carico di lavoro esistente, lo Stato dovrebbe operare in due direzioni:
- adottare norme di carattere deflattivo;
- destinare più risorse alla Giustizia.
Circa il primo punto occorre rompere lo schema in virtù del quale l’unico strumento di controllo sociale è il processo penale.
Per quanto attiene le risorse è necessario prevederne un aumento volta che nel bilancio dello Stato è riservato alla Giustizia l’1,28% per il 2014 e l’1,27% per il 2015. Tutto ciò in un quadro di rottura di vecchi e infondati sofismi: perché non è vero che i magistrati lavorano poco ed è falso che gli avvocati provochino pretestuosi ritardi.
La legge n° 235/2012, Legge Severino dal nome del Ministro proponente, nasce dalla sconfitta di natura endemica dello Stato e della società italiana: ovvero dall’incapacità della politica di impedire che disonesti occupino cariche amministrative e che, una volta eletti, essi siano costretti ad andarsene.
Insomma da tempo immemorabile la società italiana non ha anticorpi che la liberino dalla presenza di ladri e cialtroni senza che sia necessario l’intervento del Giudice.
Così stando le cose non può che essere apprezzata la norma in esame sostanzialmente costituita da due parti:
- una prima che individua soggetti responsabili (o di garanzia) e procedure intese ai controlli;
- una seconda, di carattere sanzionatorio, che disciplina i casi di ineleggibilità e di decadenza dei responsabili di reati contro la Pubblica Amministrazione.
L’applicazione della legge non ha dato particolari problemi per la prima parte: le Amministrazioni, pur disattente e riottose, si stanno attrezzando e dotando di procedure interne.
Vi sono stati invece contraccolpi sull’applicazione della seconda parte (sanzionatoria) sulla base del generale principio di irretroattività della legge: ovvero essa disciplina i fatti futuri e non quelli passati.
In tema vi sono già state contrastanti decisioni del Giudice Amministrativo e, investita la Corte Costituzionale, si è in attesa della sua decisione.
A noi pare che l’approccio sia “massimalistico”.
Per vero bisogna distinguere l’istituto dell’ineleggibilità da quello della decadenza.
In tema d’ineleggibilità è certamente possibile determinare criteri nuovi circa i requisiti personali che debbono possedere i candidati a cariche elettive (nazionali o locali).
Come si vede nulla di retroattivo: dall’entrata in vigore della legge occorre che i candidati posseggano i requisiti prescritti.
Diverso è l’istituto della decadenza in virtù del quale chi sia stato condannato per un reato non colposo fra quelli indicati dalla legge viene dichiarato decaduto dalla carica ricoperta.
Vale innanzi tutto notare che la norma è diversa da quella codicistica dell’interdizione (artt. 19 – 28 C.P.) poiché questa sanzione accessoria presuppone una sentenza definitiva mentre la legge 31/12/2012 n° 235 fa scattare la sanzione accessoria con la sentenza di primo grado.
Sotto questo profilo l’eccezione d’irretroattività pare fondata allorché si verta su sentenza relativa a fatti commessi anteriormente all’entrata in vigore della legge Severino. In diritto si pronunzierà la Corte Costituzionale; sul versante socio-politico si deve segnalare il cattivo costume che non impone al condannato (in primo grado) di dimettersi per la propria dignità e soprattutto per il decoro della Pubblica Amministrazione.
Noi continuiamo a credere in un vecchio brocardo: “Recte operando ne timeas”.
 
20 Marzo 2015
 

Pagina precedente